giovedì 24 maggio 2018

MEHARI: i miei primi cinquant’anni… li devo a Roland Paulze d'Ivoy de la Poype

 
Roland era un giovane decisamente vivace: nel dicembre del 1939, a diciannove anni, si arruolò in aeronautica come allievo pilota, conseguendo il brevetto di volo a tempo di record nel febbraio del 1940.Purtroppo, già nel maggio dello stesso anno, Roland perse il padre, ucciso al fronte e si trovò coinvolto nella rovinosa ritirata che lo porterà, assieme ai suoi compagni della scuola di pilotaggio di Etampes, a Saint-Jean-de-Luz, vicino alla Spagna, da dove riuscirà ad imbarcarsi per l’Inghilterra.

 
Il rullo compressore nazista avanzava in Europa e Roland de la Poype venne trasferito nel luglio del 1940 con la sua squadriglia nell’Africa Equatoriale Francese con le forze aeree della Francia Libera, per poi tornare in Inghilterra ed unirsi al 602° Squadrone “City of Glasgow” della RAF, equipaggiato con i modernissimi caccia Spitfire. Sarà in questo squadrone, guidato dall’asso irlandese Paddy Finucane, che il 22 agosto del ‘42 il nostro de la Poype conquisterà la sua prima vittoria, abbattendo un Messerschmitt 109. Saputa la notizia di un gruppo di piloti volontari intenzionati a trasferirsi in Unione Sovietica, de la Poype si candidò e venne inserito nel primo gruppo che il 28 novembre del ‘42 arrivò ad Ivanovo, in Russia.
Da quel momento, alla fine della guerra, il fianco dello Yakovlev Yak-3 di Roland vide aggiungersi sagome di aerei nemici sino al ragguardevole traguardo di 16 abbattimenti confermati e facendo di De la Poype (all’inizio del ‘45) il capitano della prima squadriglia caccia del celebre gruppo Normadie-Niémen!
 
Roland de la Poype lasciò l’Unione Sovietica il 20 giugno del 1945 per trasferirsi (come attaché) prima in Belgio e subito dopo in Jugoslavia. Abbandonò l’aeronautica nel 1947 portandosi a casa, a soli 27 anni, i titoli di “Eroe dell’Unione Sovietica”, “Ordine della Bandiera Rossa”, “Ordine di Lenin”, “Medaglia al Merito per la Guerra Patriottica”, “Medaglia della Vittoria”,“Croce di guerra Cecoslovacca”.
Tornata la pace, Roland de la Poype si trovò nella condizione di doversi reinventare la vita che per lui fu solo uno stimolo a percorrere nuove vie.
Così nella prima metà dell’anno 1947 lo troviamo nuovamente in Francia, nei panni di giovanissimo industriale: il capitale di famiglia venne investito nell’allestimento di una fabbrica che iniziò la sua attività nel mese di maggio. Il prodotto? La plastica: il nuovo materiale che sta rivoluzionando il mondo. L’azienda ha un nome importante: Société d'études et d'applications des brevets (SEAB).
 
La SEAB aveva tra i suoi clienti anche Citroën e De la Poype trovò logico dotarsi di una flotta di veicoli commerciali del Double Chevron: furgonette 2CV e furgoni Type-H garantivano l’approvvigionamento delle materie prime, la consegna degli oggetti in plastica (pannellature e cruscotti, nel caso di Citroën) ed il trasferimento dei prototipi.
Un giorno, una delle furgonette Citroën AK della SEAB uscì di strada finendo in una scarpata e ribaltandosi più volte. Il conducente ne uscì un po’ ammaccato ma sostanzialmente integro mentre la furgonetta fu seriamente danneggiata. De la Poype fece staccare la scocca dal telaio, con l’intenzione di montarvi una carrozzeria nuova di fabbrica quando ebbe l’intuizione di costruire lui stesso una carrozzeria, ovviamente in plastica.
Nacque così la Méhari, la prima della stirpe, che De la Poype presentò personalmente a Pierre Bercot, presidente e direttore generale di Citroën, che rispose semplicemente “interessante, la commercializzeremo”. “Quante devo produrne?” chiese De la Poype.“Nessuna - rispose Bercot – le costruiremo noi, voi siete già in ritardo con le normali forniture. Chiaramente vi pagheremo il brevetto!”.

Invece le prime venti vetture (più qualcun’altra) vennero prodotte dalla SEAB e furono otto di queste a calcare il terreno dei campi da golf di Deauville il 16 maggio del ‘68, giorno della presentazione.
Perchè un’auto di plastica? l’ABS e i nuovi materiali, vantaggi e curiosità Quando nel 1947 Roland de la Poype, l’inventore della Méhari, decise di lanciarsi nell’industria dei nuovi materiali con la sua azienda, la SEAB, parlare di innovazione nel campo delle materie prime portava inevitabilmente ai nuovi polimeri: le plastiche.
A cominciare dalla metà dell’800, quando in Svizzera fu ideato il rayon, le materie “artificiali” conquistarono spazio, divenendo la base per la progettazione di oggetti nuovi, la cui forma poteva essere perfettamente plasmata secondo esigenze di estetica e funzionalità.
Il ‘900 vide un autentico boom dei nuovi materiali, a partire dalla bachelite che, grazie alle sue proprietà isolanti, rimpiazzò ceramica e legno nella costruzione di componenti elettrici: da allora, radio, isolatori e semplici manopole divennero belle e perfettamente ergonomiche oltre che meno costose.
Nel tentativo di migliorare il polistirolo, nel secondo dopoguerra fu messa a punto una nuova molecola nota come ABS, sigla per Acrilonitrile Butadiene Stirene, che univa alla rigidità del polistirolo la capacità di assorbire urti anche consistenti senza rompersi.
L’ABS, grazie alla sua bassa temperatura di fusione, di poco superiore ai 100 gradi, è facilmente plasmabile e Citroën l’aveva già adottato per la costruzione, tra l’altro, dei tetti dei modelli ID e DS, rimpiazzando la vetroresina, più difficile da trattare e molto più fragile.
Un’altra importante caratteristica dell’ABS è la facilità con cui può essere colorato e l’aspetto lucido e brillante che tutti ricordiamo, ad esempio, nei celebri mattoncini della LEGO®.
La carrozzeria della Méhari nasceva dunque così, dall’intuizione di un industriale che immaginò un telaio Citroën, con le sue eccezionali doti stradali, su cui montare dei tubi di sostegno (leggeri) ed un rivestimento esterno, la carrozzeria, fatto di pannelli facilmente rimpiazzabili, colorati nella massa in sede di fusione con tinte brillanti e resistenti, difficile da rompere (assorbiva urti notevoli) e facile da riparare.
Un’auto buona per tutto, sia ovviamente per andare in spiaggia en plein air ma anche per viaggiare in città grazie a una coperura in tela, che la faceva sembrare una tenda da campeggio con le ruote. Grazie all’ABS, la lumaca di latta, come veniva chiamata la 2CV, era diventata un cammello di plastica! Il nome Méhari infatti è mutuato da quello di una razza di cammelli da corsa e da combattimento, particolarmente robusti e resistenti.

I colori della Méhari. Uno dei principali vantaggi dati dall’uso della plastica ABS per la costruzione di tutte le pannellature della carrozzeria della Méhari consisteva nella possibilità di colorare la plastica “nella massa”, ovvero aggiungere pigmento ai “pellet” di plastica neutra al momento della fusione della stessa, in modo da poter colorare uniformemente la materia con cui poi verranno stampate le singole parti.
Questa tecnica consentiva di ottenere una colorazione uniforme, resistente ai graffi e ai piccoli urti tipici della vita in città, specialmente in fase di parcheggio, oltre alla possibilità di ottenere una qualità costante nella tinta dei pezzi, senza colature o imperfezioni di verniciatura, difficili da evitare oggi e ancor di più cinquant’anni fa.
Roland De la Poype lavorò molto su questo aspetto e le prime venti Méhari di preserie realizzate dalla SEAB avevano anche tinte metallizzate, oltre a colori poi non realizzati come l’azzurro pastello o il grigio argento.
Per la produzione della sua “3 cammelli in avventure” (come recitava uno dei primi slogan italiani), Citroën decise di realizzare un numero limitato di tinte che cambiarono poco durante i quasi vent’anni di produzione della Méhari: Rouge Hopi, Vert Tibesti, Vert Montana, Orange Kirghiz, Beige Kalahari, Beige Hoggar, Jaune Atacama e, per la sola versione speciale “Azur”, anche il bianco e il blu.
Tutti i nomi dei colori della Méhari sono legati ai grandi deserti presenti sul pianeta, deserti che le piccole Méhari affrontarono molte volte, sia individualmente sia nei grandi raid di massa attraverso Asia e Africa. In particolare, diedero prova di incredibile efficacia come auto mediche nella Parigi-Dakar, capaci di andare e tornare facilmente tra le dune, dove invece si insabbiavano i grossi fuoristrada impegnati nella celebre competizione.

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