Storia della guida autonoma alla Volkswagen: già trent’anni
fa, una Volkswagen Golf II era in
grado di sterzare autonomamente. Con
l’integrazione di telecamere, laser e radar, nei decenni successivi la ricerca
ha fatto ulteriori passi avanti. Oggi, prototipi come la SEDRIC sono visioni realistiche del futuro a guida autonoma
Marciapiedi
scorrevoli che trasportano pedoni da A a B? Tubi in grado di spostare le
persone da un luogo all’altro usando aria compressa? Le visioni sulla mobilità
del futuro sapevano essere ardite negli anni ’70, quando i computer potenti
come i nostri portatili odierni erano grandi quanto un mobile da salotto.
Caroline, la Passat
B6 che già nel 2008 integrava telecamere, laser e radar per la guida autonoma
A proposito di computer, nonostante la loro mole contribuirono
in modo determinante alla sicurezza stradale già 40 anni fa. Nello specifico,
all’epoca i ricercatori cercavano soluzioni per ridurre gli incidenti stradali
e sostituire il guidatore umano utilizzando l’elettronica. Anche la Volkswagen
aveva già iniziato a ripensare la mobilità dalla base, per esempio partecipando
al progetto di ricerca europeo PROMETHEUS che venne lanciato nel 1986. Oltre a
costruttori automobilistici e fornitori, l’iniziativa coinvolse centri di
ricerca come l’Istituto Fraunhofer (IITB), specializzato in elaborazione di
informazioni e dati, e l’Università delle Forze Armate Federali Tedesche di
Monaco.
In quei periodi, dotazioni oggi presenti da anni sulle
automobili della Volkswagen – come il cruise
control adattivo ACC, l’assistente al mantenimento di corsia Lane Assist e il
sistema di monitoraggio della distanza Front Assist – erano ancora delle
chimere.
Guidata da Walter Zimdahl, una squadra del Dipartimento di
Ricerca creato nel 1970 aprì la strada verso la guida autonoma con un progetto
di studio sulla “sterzata automatica con visione computerizzata” (come fu
chiamato ufficialmente).
Un’idea brillante: la
telecamera come un occhio
L’idea venne a Zimdahl quando nel 1982 “più o meno per
caso”, come racconta lui stesso, entrò in possesso di una telecamera televisiva
portatile. Utilizzarla come sostituta dell’occhio umano e collegarla a un
sistema di sterzo elettrico fu l’approccio rivoluzionario.
Walter Zimdahl prova
il sistema di sterzo automatico su una Golf II
“La valutazione
dell’immagine era in linea di massima piuttosto semplice”, ricorda il pioniere
dell’elettronica. “Si concentrava sul contrasto tra la segnaletica orizzontale
e la superficie stradale, che veniva rilevato dalla telecamera e quindi
convertito dal processore in segnali di controllo dello sterzo”. In questo modo
“i microprocessori sono stati utilizzati per sviluppare
dispositivi di calcolo rapido in grado di far procedere autonomamente un
veicolo su una strada a doppia carreggiata con normale segnaletica”, come
Zimdahl spiegò in una fondamentale relazione sull’OPTOPILOT che tenne alla
conferenza della VDI intitolata “L’elettronica sui veicoli a motore” del 1986.
L’idea di fondo era
“imitare le principali funzioni umane e sterzare attraverso strumenti tecnici”.
A fare da occhio era la telecamera compatta CCD collocata all’altezza del
retrovisore centrale. “Questa telecamera era grande circa come una custodia per
occhiali e, grazie a una lente grandangolare, monitorava una zona compresa tra
4 e 25 metri di fronte al veicolo”.
Ma come si insegna a
un’automobile a “pensare” e sterzare, oltre che a vedere? Sistemi
elettromeccanici di sterzo sarebbero stati utili. “Ma a quel tempo non erano
ancora disponibili”, dice Zimdahl. “Quindi abbiamo installato un motore
elettrico parallelo alla colonna dello sterzo e lo abbiamo collegato
direttamente allo sterzo utilizzando un riduttore”.
Funzionò bene fin da
subito. “Ovviamente, c’era sempre qualcuno al posto di guida con le mani
poggiate sulle gambe, pronto a intervenire in caso di emergenza”, spiega
Zimdahl. Tuttavia non fu necessario, neppure nel corso dei primi tentativi che
si svolsero sulla pista di prova della Volkswagen, come parte di una ricerca
accademica condotta da due studenti della Università Tecnica di Braunschweig.
“Grazie a questo sistema, riuscimmo a guidare con lo sterzo automatico fino a
una velocità di 100 km/h”.
I passi successivi
verso il presente
Nel 2008, fu battezzata “Caroline” la Passat B6 con cui
l’Università Tecnica di Braunschweig dimostrò le possibilità dell’integrazione
di telecamere, laser e radar. La sua discendente “Leonie”, nel 2010, era
persino in grado di muoversi in modo indipendente nel traffico cittadino.
Il prototipo SEDRIC è
stato progettato sin dall’inizio per la sola guida autonoma
Nonostante i decenni di silenzio pubblico trascorsi tra
questi prototipi, la ricerca sulla guida autonoma è proseguita dietro le
quinte. Le scoperte del passato sono oggi i fondamenti per la guida totalmente
autonoma di Livello 5. Per questo, i prototipi del Gruppo Volkswagen come la
SEDRIC (abbreviazione di SElf-DRIving Car, appunto) non sono fantascienza ma
visioni tangibili e realistiche di un futuro in cui le vetture a guida autonoma
saranno parte della vita quotidiana.
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